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strare tutto il suo potenziale disumano.

             COMPETENZA E PENSIERO CRITICO
          In questo scenario, come si pone l’educazione? E la
          scuola? Abbiamo detto che la tecnologia, che pure è un
          prodotto umano, penetra sottilmente dentro di noi spin-
          gendo verso un modo di pensare disumano, utilizzando vie
          apparentemente positive. Si tratta di quella che un raffinato
          epistemologo francese, Jean-Pierre Dupuy, ha chiamato “la
          meccanizzazione della mente”. Le stesse scienze cogni-
          tive e la stessa pedagogia rischiano di diventare complici
          di una visione della mente basata su competenze e abilità
          quantificabili e misurabili. Si guarda sempre più ai bam-
          bini e ai giovani come a cataloghi di competenze, “mac-                                                © Freepik.com
          chine banali” da programmare con prescrizioni minuziose
          e verifiche ossessive, sempre più dettagliate, con lo scopo
          di rendere sempre più operativo il sapere. La stessa doci-
          mologia cerca l’esattezza predittiva (previsione-controllo)
          nel nesso meccanico stimolo-risposta. Diventare “oggetti”
          competenti o soggetti critici, si domanda il pedagogista
          olandese Gert Biesta? La grande filosofa Hannah Arendt ci
          aveva già messo in guardia: «Se la conoscenza (nel senso
          moderno di know how, di competenza tecnica) si sepa-
          rasse irreparabilmente dal pensiero, allora diventeremmo
          esseri senza speranza, schiavi non tanto delle nostre mac-
          chine quanto della nostra competenza, creature prive di   là delle competenze. La competenza è il disporre in ogni
          pensiero alla mercé di ogni dispositivo tecnicamente pos-  momento di una cosa di cui si è riusciti a impossessarsi,
          sibile, per quanto micidiale» .                       che si è fatta propria. Qualcosa di spendibile in contesti
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          La stessa didattica per competenze, se interpretata in modo   differenti. La risonanza invece è frutto di un’esperienza il
          banalmente esecutivo, contiene un rischio, quello di far   cui valore intrinseco è inseparabile dai processi relazionali
          diventare gli studenti meccanici dentro. Il pericolo non è   da cui ha tratto origine. L’una è mera appropriazione di un
          tanto quello che le macchine finiscano per pensare come   ritaglio di mondo, l’altra è un impegno a trasformarlo tra-
          gli esseri umani, ma che gli esseri umani finiscano per   sformando nello stesso tempo noi stessi. Una certa materia
          pensare come le macchine.                             mi commuove, mi tocca, sento che mi riguarda. Certo, la
                                                                competenza è una cosa buona. Tutti abbiamo bisogno che
             PER UNA PEDAGOGIA DELLA RISONANZA                  ci siano persone competenti in ogni campo. Ma le compe-
          Sembra importante allora il richiamo fatto da un sociologo   tenze non bastano. La competenza è sempre un’entità che
          tedesco, Hartmut Rosa, che contrappone alla competenza   possiamo modellizzare. L’opposto dell’uomo-macchina è
          la risonanza, ovvero quella particolare forma di relazione   l’essere umano che è intimamente legato a un tutto che
          tra il soggetto e il mondo che permette un’appropriazione   lo completa e lo sostiene. Se sono un ingegnere e perfe-
          trasformativa del sapere, fatta di corpi, spazio, sintonia,   ziono un razzo per distruggere, la mia competenza non
          sincronia, apertura e chiusura, con un elemento di indi-  basta, anzi essa appare dannosa senza la coscienza e la
          sponibilità. Un’esperienza capace di riappropriarsi dei si-  responsabilità. Ecco perché la scuola dovrebbe diventare
          gnificati di quello che si sta vivendo e apprendendo, al di   un ambiente di risonanza, di incontro vitale con la cultura
                                                                e con la natura, non come risorse da consumare ma come
                                                                qualcosa di cui abbiamo bisogno in maniera sostanziale
          1.  Arendt H. (1958), Vita activa. La condizione umana, trad. it. di Finzi
            S., Bompiani, Milano 1989.                          per rimanere umani e vivere la vita buona.


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