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I due feudi avevano portato avanti negoziati di pace per due tri-
mestri di fila. I colloqui di pace alla fine erano naufragati e le due
classi avevano ingaggiato una battaglia in cortile durante un’ora
buca.
Il quotidiano locale aveva riportato una dichiarazione del pro-
fessor Dimas in merito: «A volte la guerra è necessaria per in-
segnarci il valore della pace. A volte si deve imparare il vero va-
lore della diplomazia per evitare la guerra. Preferisco che i miei
studenti apprendano queste lezioni sul campo da gioco che su
quello di battaglia».
A scuola girava voce che lo scherzetto gli sarebbe costato il po-
sto.
E in effetti per poco non fu così, il Consiglio Comunale si era ri-
unito per decidere le sorti del professore e la votazione finì con
sei voti contrari e sette a favore.
Penserete che aver rischiato il posto avesse terrorizzato il profes-
sor Dimas.Magari! La sua idea per l’esame finale di Educazione
Civica di quell’anno era estrema persino per lui. Aveva suddiviso
la classe in dieci squadre di tre allievi ciascuna, ci aveva bendati
ancora una volta (era fissato con le bende) e ci aveva fatti lasciare
da uno scuolabus in vari posti a caso della città. Avremmo dovuto
arrivare entro un certo orario a diversi posti di controllo, senza far
ricorso ad alcuna mappa. Confiscò cellulari, schede telefoniche,
carte di credito e contanti, in modo che non potessimo chiedere
passaggi, prendere autobus o chiamare taxi. Eravamo da soli.
E fu lì che tutto ebbe inizio.
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