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Tutto punte aguzze e solitudine!
Il cuore gli faceva male per la tristezza.
Fabriccio era diventato un tipo solitario e musone che si arroto-
lava ogni volta che sentiva il respiro di un altro animale. E siccome
i ricci hanno un udito finissimo e sentono un sospiro anche a di-
versi metri di distanza, Fabriccio passava gran parte della sua vita
arrotolato a palla, con il naso affondato nella pancia e gli occhi
chiusi. Eppure quando aveva messo le zampe per la prima volta in
quel tratto di bosco era un animale completamente diverso.
Arrivava da un prato che stava ai piedi di una collina; un giorno si
era svegliato nella tana dei suoi genitori e si era accorto di essere
un riccio adulto: doveva avere una tana tutta sua.
– Ciao mamma, ciao papà! – aveva detto mettendosi in spalla un
fagotto – Vado a vivere per conto mio.
I ricci fanno così; non è che non si vogliano bene tra di loro, è che
hanno bisogno di spazio perché con tutte quelle spine stare vicini
vicini non sempre è piacevole.
Una mamma e un papà riccio non fanno tante storie quando uno
dei loro figli se ne va, sono abituati al fatto che ciascuno prenda
la sua strada.
– Ciao, Fabriccio! – avevano detto i suoi genitori – Tieniti in forma,
mangia la verdura e soprattutto trovati degli amici. Una mamma
e un papà riccio non fanno tante storie quando uno dei loro figli
se ne va, sono abituati al fatto che ciascuno prenda la sua strada.
– Ciao, Fabriccio! – avevano detto i suoi genitori – Tieniti in forma,
mangia la verdura e soprattutto trovati degli amici.
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